Recensione di “Superclassica” di Luca Viti

Riassunto degli aspetti salienti del romanzo

Il romanzo si sviluppa all’interno di una cornice interessante, che contiene le storie dei personaggi in piccoli quadri. È difficile inquadrarlo all’interno di un genere particolare o pensare a un’unica opera di riferimento, tuttavia, è possibile accostarlo, soprattutto a livello narrativo, ad esempio al film Challengers (2024). Se il moto a ritroso tra i ricordi è simile, nel caso di Superclassica prevalgono le parole ai fatti, non solo perché si tratta di un romanzo, ma perché ciò è coerente con l’obiettivo del testo; inoltre, il finale propone un esito alternativo, che vanifica l’attesa dei personaggi attorno ai quali ruota la narrazione.

Valutazione dello stile e della sintassi

Stile e sintassi hanno una relazione molto stretta con la narrazione, che si ritiene nodale nella valutazione del testo. Coesistono infatti nel testo diversi stili narrativi che si alternano.
Sono presenti molteplici chiose d’autore, quasi fossero degli a latere onniscienti di manzoniana memoria. Ciò si propone nel prologo: Ne approfittiamo per una premessa storica; nei primi capitoli: Ma per ben far capire il discorso, mi tocca di far la parte del biografo (o dell’apologo, a voi decidere); spero, all’eroe del Brera, di rendergli buon servizio; ma anche nella seconda metà del romanzo: Lasciamo per un attimo la filosofia.
Al contempo, è possibile rilevare alcuni discorsi indiretti liberi appartenenti a nessun personaggio nello specifico, ma che sembrano farsi carico, per così dire, di un sentimento comune, con uno stile di stampo quasi verista. È il caso di finì per obbedire alla sempiterna legge universale: che i padri alla fine han ragione sempre, soprattutto coi maschi e di indottrinato dagli avidi e dagli arrivisti (ora si chiamano opportunisti e han nello sport ahimè accezione positiva.
Oltre a questi due stili narrativi, chiaramente distinguibili, se ne riscontra un terzo, sempre afferente al profilo di narratore onnisciente e più vicino al secondo, che alterna sintassi e vocaboli eleganti, a tratti ampollosi, come nel caso di p. 38: Individuo esecrabile, ecco perché nell’area altrui sottovalutato, e impunemente punitore […] antesignano dell’Arrigo, suo epigono. […] La sgargiante arancione dei nostri fu presa per sintomo di vanità, ma presto s’accorsero, quei poveri scriccioli, d’aver contro non dei buontemponi di flaneur, ma dei malvagi, talvolta accentuati ponendoli nella medesima frase.
Non si evidenzia uno stile diverso per ogni personaggio, ma si assiste all’ingresso e all’uscita dei personaggi, come fossimo in una sala d’attesa fuori dal tempo. Non si assume in toto il punto di vista di nessuno dei personaggi, se ne leggono e interpretano i pensieri, mischiandosi anche con essi, senza che sia veramente possibile distinguere il narratore e i personaggi. Due esempi a tal proposito sono la descrizione della squadra di operai e la digressione su Andrea, il fantasista, che all’inizio sembra essere un assunto del narratore, ma che poi viene messo in bocca ai protagonisti.

Pregi e limiti a fronte degli obiettivi

Lo zoom che viene operato sui personaggi, uno a uno, restituisce quadretti finemente dipinti, in una sorta di raccolta di sonetti piacevole da leggere.
Lo stile di scrittura è coinvolgente: una volta entrati nella dinamica, è facile lasciarsi condurre, tanto che sembra di conoscere bene i personaggi, la loro indole e le loro attitudini. Ben architettati e coerenti con gli obiettivi sono i paralleli presentati tra il giuoco del pallone e la vita in senso lato (lavoro, i legami sentimentali, vita sessuale). Diversi sono gli esempi ben riusciti in tale direzione, come la prima notte di nozze di Andrea e la descrizione dei movimenti leggiadri di Alvarez, a confronto con gli interisti in generale e, soprattutto, Brera, o il racconto del di lui desiderio di rimanere eterno bambino, incompiuto e contraddittorio, in un’autonarrazione distorta del reale. Ben riuscita è anche la descrizione delle mani di Dino, portiere imbianchino  e l’epopea del suo ritorno a giocar con la squadra. Allo stesso modo Tillio risulta essere un personaggio coerente, la cui parabola è ben descritta. Nessuno dei personaggi è escluso dalla trama malinconica dipinta dal romanzo, che genera una sorta di ineluttabilità verso un destino infausto che irretisce. Si tratta di una scelta dura, ma coerente.
Anche la relativa brevità del romanzo appartiene ai pregi. Si tratta, infatti, non di una vicenda di fatti, ma di parole: non era necessario che succedesse altro e le parole spese per raggiungere l’obiettivo sono state il giusto quantitativo.
Un punto nodale sul quale permangono dubbi è il piano del narratore.
Lo stile individuato, che, come si è già detto, salta a livello spaziale e temporale con continui flashback tra i personaggi, è molto apprezzato nel panorama contemporaneo, non solo per quanto riguarda i romanzi, tuttavia, è importante non perdere nessi e coerenza interna: il rischio è che il testo sembri un’accozzaglia di informazioni, che manca di omogeneità. La mescolanza dei vari stili narrativi, infatti, non pare completamente riuscita, in quanto in alcuni tratti si perdono i nessi causali tra i fatti narrati e la cornice. Ne sono un esempio l’analessi senza cornice riguardante la fine del torneo della scuola, così come si verifica nella presentazione dell’altra squadra della Superclassica. Questi episodi non appaiono coerenti col resto della cornice. Per dar seguito, poi, a quelli contraddittori già menzionati precedentemente, si aggiungono i dialogati poetici che sostituiscono il ruolo del narratore, che stonano, almeno a primo impatto, a confronto con il parlato più basso, ricco di imprecazioni presente altrove.
Non se ne coglie il nesso con gli obiettivi dichiarati.
Da ultimo si fanno notare degli errori da attribuire a una correzione di bozze non curata: l’accento mancante su macche (p. 10); il punto mancante al termine della frase Il Brera…piano (p. 12); necolassiche anziché neoclassiche (p. 15); l’avevano studiando (p. 39); d’accapo (p. 74). Solo per citare i più macroscopici, ma per amore di verità abbiamo avuto rassicurazione che nella ristampa saranno corretti.

Giudizio finale di sintesi

Il romanzo trasmette grande malinconia. Il finale, in particolare, lascia veramente l’amaro in bocca, consentendo al lettore di percepire il processo di disillusione di un uomo di mezz’età: L’amaro che masticava c’era colato giù nell’animo, l’aveva inquinato, e pur, come per un meccanismo strano, s’era risolto d’accettarlo nel fisico, a farlo girare, a nutrirsene. Ciò risulta coerente con l’obiettivo principale del testo, ossia quello di utilizzare il calcetto come grande metafora della vita, attraverso il quale l’uomo (inteso come maschio) mira a riscattare sé stesso e le proprie scelte. È forte la decisione di presentare a quadretti ciascun personaggio, senza che nessuno di essi venga risparmiato dal destino cupo proiettato tra le pagine. Non appare totalmente riuscito il ruolo del narratore onnisciente, che alternativamente si espone ex cathedra, si mischia tra la folla, entra ed esce dai personaggi. Questa scelta, infatti, sembra a tratti far perdere di coerenza alla struttura del testo, in quanto non riesce sempre a creare un legame comprensibile tra la cornice scelta per il romanzo, i quadretti dei singoli personaggi e gli altri flashback.
Si raccomanderebbe la lettura di questo libro ad altre persone interessate all’argomento, il calcetto, o al tema, la disillusione, ma anche a un pubblico specificamente femminile per ottenerne un parere altro rispetto a un testo volutamente concentrato su personaggi maschili.

INFO:
Titolo: Superclassica
Autore: Luca Viti
Editore: Edizioni La Gru
Anno di edizione: 2023