Recensione di “Assulæ” di Josè Russotti
- Posted by Bruna Bianchina
- on Gen, 19, 2025
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A) Riassunto degli aspetti salienti della silloge poetica
Assulæ è una raccolta di poesie dal sapore ermetico, in continuità con le opere di autori del Novecento quali Ungaretti e Montale. Ciascun componimento rappresenta una scheggia, a cui il titolo fa esplicito riferimento, che colpisce in modi diversi il lettore «in questo mondo di uccellacci in pena» (Ho amato fin che ho potuto). I temi toccati sono numerosi e spaziano dalla contemplazione della natura, con cui si apre la raccolta, al rapporto con la sua terra, con cui si chiude, dalla passione amorosa alla mancanza, dal dolore esistenziale alla religiosità, da vecchiaia e ricordo all’immortalità della poesia. La biografia dell’autore difficilmente può essere ignorata per comprendere a pieno i suoi versi.
B) Valutazione dello stile
I componimenti appaiono in ordine alfabetico, ad eccezione del primo e dell’ultimo, che abbracciano l’intera silloge, fungendo così da prologo ed epilogo. Le poesie sono fortemente accomunate tra loro dallo stile e dal fatto che i diversi temi sopra elencati si compenetrino, tanto che l’isolamento di un singolo tema è paragonabile a un’operazione di vivisezione. La contemplazione della natura costituisce sempre una lente per osservare la vita degli umani o una sua separazione da esso («Non vedo nessuna apertura d’ali/ sul fronte del tramonto» in Nelle crepe dell’ombra orlata). Sotto questo aspetto si trovano analogie con il realismo terminale di Guido Oldani; tuttavia, se in questo movimento si fa abbondante utilizzo della similitudine rovesciata, il Russotti predilige la similitudine, ma soprattutto la metafora, tradizionalmente intesa, attingendo sempre termini di paragone dall’osservazione della natura. Lo stesso tema dell’amore utilizza immagini naturali («La cercai nel morso acre del limone,/ nella pelle che muda la serpe,/ nel riflesso eufonico dell’onda» in A ridosso) per parlare di quel delirio che è la passione amorosa. La natura viene anche utilizzata per rappresentare il dolore esistenziale, o il male di vivere per dirla con Montale, come nei casi in cui figura la ginestra (Il pianto della mia terra, Sei tu il poeta?, Si schiude in gola), che suggerisce un rimando a Leopardi. Tra i temi, che possiamo definire “classici”, emergono il ruolo del poeta e della poesia. Emblematica per il primo è Da ieri o da oggi, nella quale il poeta veste i panni del palombaro del Porto sepolto di Ungaretti («scoprirò nuove annotazioni/ incoronate di spine/ mai esibite al sole»), direttamente citato poi in Nella confusa sinfonia. All’interno di Dentro le mie tasche vuote è poi possibile leggere il desiderio di essere riconosciuto, che ricorda, mutatis mutandis, una delle frasi finali di Dieci piccoli indiani per bocca del giudice Wargrave, con la quale quest’ultimo manifesta il desiderio di far conoscere la propria maestria («chissà se lascerò un segnale/ ancor prima di partire»). Sulla scorta di questi temi, anche se quasi mai emergono da soli, ritroviamo la vecchiaia, l’immortalità e il fare poesia (A chi prestare ascolto, Chissà se un giorno lassù, Dentro le mie tasche vuote, Ho visto falene librarsi nel buio, Raccogliendo tutto in uno). Ricordi del passato e mancanza sono altre due tematiche presenti in questa silloge, che si inseriscono nella tradizione letteraria poetica. Russotti affronta la mancanza dei genitori (come nel caso di Possa sentirsi ancora), di presenza, di parole ricevute, della donna amata, tanto che egli si percepisce scisso, come manifesta per tre volte attraverso l’espressione «con una mano […] con l’altra» (Lancio biglie argentate, Le parole che nessuno mai, Quando). Anche le poesie dedicate al rapporto con la sua terra siciliana rientrano in questo quadro, come nel caso dell’epilogo. Mescolati tra i versi, sono numerosi i rimandi religiosi. Oltre alla già citata Da ieri o da oggi, nella poesia Chissà se un giorno lassù, l’autore si riferisce direttamente a Dio; in A chi prestare ascolto fa un chiaro riferimento a un episodio evangelico «Chiesi, come Giuda,/ il conto da stornare». Due volte si nominano le «novene» (Piegandomi alle umili radici, Sono giorni di paura) e copiosi sono i richiami all’anima. Alcuni componimenti hanno poi una presenza più diffusa di elementi della tradizione cristiana, che non si limita a una singola espressione (Nella fame degli avi, Quante volte ho lasciato il sentiero, Stridente si mostra in me, Vanno di nuovo). Questa commistione e sovrapposizione di temi trova una sintesi nel componimento Assulæ, che riprende il titolo della silloge o ne dà il titolo. Esso sussume in qualche modo, ermeticamente, gran parte dei temi dichiarati, lasciando, forse, un barlume di speranza con i versi finali, guidati nuovamente da immagini mutuate al mondo naturale: «Anche se alita un vento gelido,/ la grazia del mattino/ fa risplendere il cielo/ sul mio cammino» (Assulæ).
C) Pregi e limiti
Pur trattandosi, in vero, di una pretesa limitata intrinsece, quella di identificare un componimento con un singolo tema, si vuole elevare alcune poesie a pregevoli baluardi di uno di essi. L’immagine dell’alba torna diverse volte nella silloge e ci viene svelata, a scanso di equivoci, in Testamento d’amore, la meno ungarettiana di tutte. L’alba è davvero lontana costituisce un ottimo esempio per evidenziare il ruolo della natura come lente e metafora per osservare la vita con uno sguardo speranzoso, a differenza ad esempio di Ingrato è il tempo, dove, in modo sinallagmatico, si cede il passo alla tristezza («lasciate/ che io pianga»). Nessuno che sappia l’un dell’altro è in grado di carpire egregiamente il sentimento del tempo, di fotografare l’individualismo neoliberista di cui è intriso sin nelle viscere il nostro oggi. Forte ed evocativa è la rappresentazione di un naufragio di migranti in Eran tutti là, quel mattino. Per il tema della passione amorosa, Madrigale d’amore è sicuramente una perla. L’enjambement «Più cose mi tengono/ legato a questo letto nuziale» impreziosisce la volontà ossimorica di rimanere e contestualmente andarsene, descrivendo in un’unica immagine la paura del per sempre e l’inquietudine viva dell’amore. Nella medesima poesia tornano il «delirio» e i moti interiori dell’animo, dipinti come «lotte», a cui si accosta la deliziosa e pungolante immagine delle api e del loro zigzagare. Possa sentirsi ancora è la poesia mutuata per il tema della morte del padre. L’autore si rifiuta di credere che questa sia la fine: «Non dite che non ci sarà nessuno ad aspettare,/ né che mai avverrà il suo ritorno./ Tra ieri e oggi,/ tra il verticale e l’orizzontale,/ sotto queste cifre d’indizi/ vola il tempo/ al trasalire della pioggia». Anche senza uno sguardo ai riferimenti biografici dell’autore, è possibile immaginarsela scritta a distanza di tempo dall’evento della morte del padre, in un giorno di pioggia che ci richiama all’orizzontale e alla natura, al rapporto con l’aldilà e con un dopo. Quel «vola il tempo» non ha il sapore di frase riempitiva, da convenevoli, ma di sguardo maturo, questuante di vita. In Sul valico della vita il verso «la voglia di vivere è tanta» si contrappone a diversi di altri componimenti, a cui si aggiunge però «chiederò paziente l’inganno/ della morte». Si tratta di un contrasto irrisolto cruciale, emblematico, che lascia numerose domande nel lettore, pensando soprattutto al tema del «rimorso». Infine, Vegeto, nell’attesa, con i suoi «se mai dovessi perderti» e «tu abiti dietro la luna», ben rappresenta di nuovo la relazione amorosa di coppia, ma nella dinamica del prendersi e ritrovarsi, del celarsi e concedersi. Si ritiene molto positivo il fatto che vi siano altri autori che hanno contribuito al confezionamento dell’opera. Ciò è sia indice di una coralità, sia di un certo grado di riconoscimento dell’autore: l’introduzione di Amalia De Luca (e la carezzevole poesia I poeti) ci consente di entrare nei temi, mentre gli interventi di Giuseppe Rando e Marisa Liseo ci permettono di rileggere e aggiungere contesto di vita all’opera. Tuttavia, in questo modo manca di fatto una dichiarazione dell’autore, il quale lascia che siano altri a parlare di sé, senza alimentare o smentire, lasciando alcuni dubbi su quale sia la sua «meta stabilita» (Nel sangue amaro delle mie vene intubate) alla quale ambisce. Il ruolo che queste poesie ricoprono per il poeta rimane dunque fraintendibile, in quanto esso va evinto dalle schegge del titolo, che si percepiscono una ad una, e dai componimenti stessi, come nel caso di Raccogliendo tutto in uno, dove sembra emergere il valore autotelico della scrittura. Un limite formale che si riscontra nella raccolta è la scelta dell’ordine alfabetico dei componimenti. Non se ne comprende a fondo il motivo. Non si riesce a percepire infatti un percorso preciso tra i componimenti, non ci si sente accompagnati nella lettura da questa forma. L’unica eccezione è rappresentata dal tema della morte: fino a Non importa se sulle labbra, questo non emerge in modo deciso, mentre da lì si imprime una linea ben definita. La scelta di posizione non sembra neanche giustificare l’intenzione di suggellare quella che per l’autore costituisce l’opera di una vita, pur considerata matura nei contributi finali e riconoscibile come tale, almeno a partire dalla vicinanza con alcune sillogi precedenti. Assulæ appare piuttosto come un diario poetico maturo. Dunque tale organizzazione rischia di apparire come un (mero) esercizio retorico, un artificio che non aggiunge significato alla fruizione del lettore. Si indicano qui infine un numero esiguo di poesie appartenenti alla raccolta nelle quali sono presenti una commistione esacerbata di temi o associazioni logiche che non paiono afferrarne nessuno. È il caso di Andando per riflessi di stelle, All’imbrunire dei giorni, Ho visto falene librarsi nel buio, Il cuore è spento da giorni, Lancio biglie argentate e L’odore dell’erba.
D) Giudizio finale di sintesi
Il giudizio complessivo sull’opera è positivo. Assulæ convoglia temi diversi in un’unica raccolta, dardeggiando gemme preziose tra le schegge scagliate per pungolare il lettore. Come si autodefinisce il Russotti, egli non è «altro che/ un misero fabbricante di sogni/ che prova a unire le parole/ al suono musicale/ dell’anima» (Fabbricante di parole). Dai testi emerge una persona sensibile che, a partire dalla propria storia personale, traduce il dolore in versi e musicalità, facendosi portavoce di mali che affliggono l’oggi. Come succitato, la scelta formale di ordinare la silloge seguendo l’alfabeto non è chiara e in un ridotto numero di poesie sono mescolati molti temi al punto che questi faticano a emergere. Tuttavia, si riconosce l’opera come una matura rappresentazione del sentimento del tempo e della poesia ermetica.
INFO:
Titolo: Assulæ. Schegge di pietra dura
Autore: Josè Russotti
Editore: Antipodes
Anno di edizione: 2024