Profezia è predire il presente

Profezia è predire il presente poiché il vero profeta rivela un’esigenza latente nell’uomo contemporaneo e lascia che essa affiori come bisogno dall’anima. La sua missione si compie quando la sua parola è compresa ma il percorso per arrivarci non è sempre diretto,semplice o immediato.,anzi i più grandi profeti di tutti i tempi hanno dovuto compiere una lotta,a volte anche interna a sé stessi, per affermare pensieri e idee che poi sono diventati principi e insegnamenti di vita validi per tuti.

Era il 1977 quando, ispirato da un articolo che Pier Paolo Pasolini scrisse sul giornale Il Tempo, Giovanni Franzoni pubblicò «Le cose divine « una raccolta di omelie tratte soprattutto dalla sua esperienza di abate nella comunità di base di San Paolo Fuori le mura dove si dedicò alla riforma liturgica auspicando una sempre maggiore partecipazione della gente ai problemi concreti ,, anche quelli di natura politica., e della Chiesa stessa.
Le prediche di Franzoni evolvono fino ad attaccare l’errata concezione del potere ecclesiastico imprigionato in una struttura gerarchica rigida, castigatrice e improntata alla censura in favore di una Chiesa popolare,risolutrice ed evoluta tanto che Pasolini afferma, impressionato dalla schiettezza di Franzoni, che «l’unico modo per essere prete è essere estremista» poiché egli deve essere vicino alle questioni sociali,vissute nel quotidiano in prima persona ed esporsi senza remore. La Chiesa non può e non deve essere lontana da questa concretezza e i profeti in questo contesto sono persone semplici che parlano direttamente alla gente in una visione laica che si fa portarice di un messaggio universale capace di instillare nel singolo un’azione che sia indipendente da chi la guida e abbia invece piena consapevolezza della propria autonoma capacità di comunicare e cambiare ricevendone indietro cambiamento.

Le intenzioni come le parole devono essere oneste e non costruite.

La Chiesa di allora non gradì da subito l’anticonformirmo di Franzoni il quale godeva di estrema popolarità tra i fedeli che partecipavano in modo diretto alla gestione della messa e all’enunciazione delle letture e piano piano portò alla sua esclusione dai ruoli sovrintendenti la gestione ecclesiastica e successivamente alle sue dimissioni da abate.
Egli non conobbe Pasolini di persona ma si incontrò con lui su un altissimo piano spirituale poiché se lo scrittore ammirava la «rivoluzione franzoniana» ciò era dovuto ad una specie di interno sodalizio che li vedeva entrambi simbolo di una rottura drammatica e urgente con una storia fatta di apparenza ora alle prese anche con tensioni sociali forti e drammatiche
Così come Franzoni anche Pasolini fu mal compreso dalla sua epoca che non ne intuì o rifiutò di farlo, il suo progressismo acuto e omnidirezionale improntato alla distruzione di un’immagine falsa e perbenista che il mondo amava dare di sé. Certo l’immagine dello scrittore si tinse anche di tematiche più forti con connotazioni sessuali che fecero gridare allo «scandalo» fino alla sua tragica morte, ma il nocciolo della questione comune era nella difficoltà a farsi ascoltare ancora prima che comprendere. La Chiesa conservatrice per l’uno e la cultura perbenista per l’altro giudicavano il personaggio ancora prima del pensiero e li mettevano al bando senza comunque arrestarne la forza dirompente poiché oggi non solo gli argomenti sono di estrema attualità ma addirittura vengono innalzati a simbolo di una società una volta di più in conflitto e ancora una volta sofferente e affamata di veri leader che chiede seppure senza reale cognizione di sé idee liberali e al di sopra di qualsiasi schieramento.

Loredana Pennacchini

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