Scioperi del metrò, scioperi del senso

Scioperi del metrò, scioperi del senso

Raffella Cavaletto

Una bambina dai denti storti e dalla lingua impertinente giunge nella Parigi degli anni Cinquanta. Le interessa la città? No! Le interessano le mille attrattive che la capitale francese può offrire? Certo che no! Un’unica meta: muoversi nel sottosuolo attraverso il metrò, l’affascinante mezzo di trasporto che sfreccia all’interno delle membra urbane e il cui movimento sembra avere e conferire un senso: la direzione (verso un luogo, verso il lavoro, verso uno scopo, verso un qualsivoglia fine). Già, direzione e senso.
Al contrario, in superficie, i significati e le finalità delle azioni umane si accavallano caoticamente, disperdendosi in un magma insensato. Tutto accade in modo convulso, ripetitivo, folle. Parigi e i suoi abitanti si muovono, creando una giostra caotica e colorata di parole e di attività prive di logicità; come se quest’ultima -la logicità- si fosse ormai esaurita lentamente e fosse giunta alla sua propria estinzione.

Allora, il divertimento, agli occhi della bambina -“novella Alice” in un paese della meraviglie che, in definitiva, corrisponde alla realtà-, diventa quello di cavalcare per un giorno il movimento sfrenato, l’allegra schizofrenia che regna nei rioni e nelle vie. Tuttavia, l’anelito preponderante nella bimba è sempre lo stesso: scendere nel sottosuolo, prendere il metrò e ritrovare il senno, la razionalità che scarseggia fra i mille colori delle strade parigine.
Stiamo parlando di un romanzo che riscosse un grande successo e che, in Francia, divenne un best-seller: Zazie dans le metrò, scritto da Raymond Queneau e pubblicato nel 1959 da Gallimard. Stiamo anche parlando dell’omonimo film di Louis Malle che, con la collaborazione di Jean-Paul Rappenau (il quale adattò il testo del romanzo, scrivendone la sceneggiatura), utilizzò le paradossali avventure di Zazie per de-strutturare il linguaggio cinematografico.
Di de-strutturazione, infatti, si sta discorrendo: de-costruzione semantica e sintattica, quella di Queneau; de-costruzione visiva, quella di Malle. De-strutturato e volutamente privo di razionalità è lo stesso contenuto del racconto: Zazie, bambina sagace e impertinente, gira in lungo e in largo una Parigi stramba e trasfigurata, mettendo in mostra la paradossalità di un mondo che gira su se stesso senza logicità alcuna. L’unico luogo dove dovrebbe regnare il senso è inaccessibile: il metrò, il quale si muove non alla luce del sole, ma nel sottosuolo.
Queneau si rese ben presto conto che il non-senso contenutistico doveva violare e invadere la formalità stilistica e le regolarità della struttura sintattica e, ancora più in generale, della costruzione romanzesca.
Così, non ci sono pause là dove dovrebbero esserci; le interpunzioni abbondano là dove l’interruzione della prosa (e della lettura) crea solo confusione. Termini gergali si accavallano ad un registro aulico. Lunghe perifrasi si incrociano ad espressioni sintetiche tipiche del linguaggio parlato. Ancora più approssimativo è lo scheletro temporale: i verbi sono coniugati quasi esclusivamente al presente; le ventiquattro ore, costituenti il soggiorno di Zazie a Parigi, fuggono, senza la possibilità che il lettore possa ricostruirne il procedere consecutivo.

Stessa via fu seguita da Malle. Quest’ultimo decise di tradurre il non-senso romanzesco in una violazione della continuità visiva.
Un montaggio accavallato delle immagini crea difficoltà cognitiva. La fotografia nitida, dagli intensi colori saturati, infastidisce l’occhio e produce confusione nello spettatore. Le posizioni dei personaggi sono continuamente invertite, attraverso la sovrapposizione dei fotogrammi. Anche in questo caso, le difficoltà nella percezione e nella ricostruzione di passato, presente e futuro vengono accentuate dalla ripetizione di scene già viste, montate e reiterate in contesti diversi. Tutto risulta contorto, paradossale, grottesco e, soprattutto, ridicolo.
Queneau e, poco dopo, Malle (il film è del 1960) riuscirono a creare il perfetto contenitore stilistico e formale (seppur attraverso tipi di testi diversi: il romanzo e il film) per un contenuto paradossale: una realtà irreale e trasfigurata, all’interno della quale la piccola Zazie soggiorna per un giorno.
Il metrò, che richiama un movimento indirizzato, significativo e teleologico, è chiuso, così come interrotta è l’esposizione chiara e lineare.
Nella Parigi dove giunge Zazie, il personale del metrò e la maggior parte dei lavoratori sono in sciopero. Perché? Il motivo rimane sconosciuto. Nella realtà (irreale) del racconto si accavallano le ipotesi, ma non esiste la certezza, nemmeno per quanto riguarda la causa di uno sciopero generale che blocca l’attività e l’ordine della capitale francese. Forse, l’unico motivo plausibile è la rivolta contro la certezza, rappresentata dal movimento rettilineo, attivo nel sottosuolo. La violazione del senso si traduce, quindi, metaforicamente, nello sciopero dei lavoratori e nella messa in fermo dell’uni-direzionalità meccanica del mezzo di trasporto più usato dai cittadini parigini.
Il tempo circolare della giornata comune, i tre tempi scanditi e ordinati del risveglio, del lavoro e del riposo serale si convertono nell’istantaneità dell’attimo, sciolto e libero dalla scansione regolarizzata. Ogni nucleo temporale -costituente ogni singola avventura di Zazie- è significativo di per se stesso (seppur nella sua totale mancanza di senso) e svincolato dalla concatenazione dei momenti che costituiscono la trama paradossale del racconto.
Liberi e sciolti da ogni legame alla razionalità sono anche i personaggi che appaiono sulla scena, così come le loro azioni sconclusionate e incoerenti. Uno di loro non si ricorda neanche il suo nome, le sue generalità, la sua identità. Perché? Perché si è dimenticato di memorizzare il suo passato.

In questa generale paradossalità di istanti sovrapposti e di personaggi accavallati, in questa schizofrenica situazione di messa in sciopero del senso, il tempo, però, continua a scorrere, senza che nessuno se ne accorga. Sarà proprio Zazie, la protagonista, a rendersene conto. Infatti, alla fine del soggiorno parigino, la bimba che, vittima del destino, è riuscita a viaggiare sul metrò proprio mentre stava dormendo, rievoca lo sciopero del tempo, affermando che, mentre tutto fluiva a-logicamente, una giornata è passata e lei è invecchiata.}