27 marzo 2007: Il Circolo intervista Maria Pia Daniele

Un viaggio alla scoperta del teatro, di ciò che avviene sulla scena e di ciò che invece rimane nascosto, per studiare il teatro che fu, che è oggi e che sarà. E’stato questo l’obiettivo della serata organizzata presso il Tuma’s Book Bar: ospite dell’occasione, Maria Pia Daniele. Nata a Napoli, autrice di numerosi testi teatrali e regista, diplomata in recitazione presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico a Roma e laureata in Lettere all’Università degli Studi Federico II di Napoli. Dal 2002 è direttrice artistica della DEEP, associazione culturale impegnata in teatro e cinema su temi di attualità e impegno civile.
Qualche minuto dopo le 21:00, il tempo di prendere posto, di sorseggiare un drink, di scambiare due chiacchiere con i convenuti in attesa che la serata inizi. Maria Pia Daniele si accomoda sulla sedia, appositamente adibita sul palco, e prende in mano il microfono.

Come viene percepito il teatro in Italia? Come in quei paesi che presentano una nota tradizione teatrale?
Ho avuto la fortuna di lavorare anche fuori dall’Italia e di notare come da noi si presti particolarmente attenzione al teatro contemporaneo e di repertorio. Sorprende invece come negli altri paesi il teatro classico rivesta una dignità simile a quello contemporaneo.

Se ne avessi le possibilità, cosa cambieresti del teatro di oggi?
Cambierei innanzitutto la fruizione del teatro: ogni quartiere di ogni città deve avere un teatro. E deve essere aperto almeno 12 ore al giorno. Introdurrei inoltre una nuova regola: quella di un maggiore pluralismo. Purtroppo il settore del teatro è un po’ vecchio e bisogna che molti dei presenti diano un po’ di spazio alle nuove leve concedendo loro il cambio.

Quanto è presente l’invidia nel mondo del teatro?
E’ davvero molto presente. Lo stesso mio maestro, Aldo Trionfo, ha sempre sottolineato che non bisogna mai dire cattiverie circa i propri colleghi. Purtroppo, al giorno d’oggi, l’invidia nasce perché non c’è posto sufficiente per tutti, ecco che ritorniamo al punto di prima, all’esigenza del pluralismo. Molte carriere sono state distrutte dall’invidia, nel teatro, ma anche nel mondo della musica, come nel caso di Mia Martini. Un nome troppo forte o una personalità molto decisa rende la vita difficile a sé stesso e all’altro.

So che è difficile tracciare un profilo del genere ma, in poche parole, riusciresti a dirci le differenze principali tra il teatro ai tempi di Shakespeare e il teatro dei giorni nostri?
Quello shakesperiano è un teatro fatto per tutti, dal ricco al povero, sia per l’attore che per l’autore. Il problema di oggi è il ruolo troppo attivo del regista, a discapito dell’opera. Inoltre il teatro shakesperiano è un teatro informativo, un teatro che racconta la storia: ad esempio “Romeo e Giulietta”. Ciò nonostante il teatro rimane oggi un fortissimo evento e rito collettivo.

Che fine ha fatto il “suggeritore in buca”?
Purtroppo è un ruolo che è scomparso. Il teatro, sul piano fisico, ha subito molte modifiche e quindi quella “buca” attualmente non c’è più. Ma il ruolo persiste: molti professionisti hanno ancora bisogno di chi suggerisce loro, però non si può più definire una professione. Questo anche perché cambia l’acustica all’interno del teatro, l’avvento dei microfoni ha portato anche questa conseguenza.

Quando e come sei entrata in contatto con il mondo del teatro?
Posso dire con orgoglio di non essere una figlia d’arte. Ho iniziato quando ero una studentessa, intorno ai 15-16 anni, iniziai con le piccole rappresentazioni teatrali liceali. Poi entrai nell’accademia “Silvio D’Amico”. Ero molto timida e quindi cominciai a cimentarmi nel campo della scrittura dove man mano mi orientai sempre di più.

Chi è il tuo attore-mito? Perché?
Nutro molta stima per alcuni grandi del teatro: come Casagrande e Luisa Ranierisu. Mi sarebbe piaciuto lavorare con Volontè, di cui ammiro la sua interpretazione di Giordano Bruno e la sua personalità pensante ed interessante. Un attore che ho particolarmente nel cuore è Massimo Castri.

Come si esce da una situazione di vuoto di memoria durante una rappresentazione? E’ importante saper improvvisare?
Se è un bravo attore, riesce comunque a risolvere a braccio la situazione. Generalmente è il partner che ti aiuta porgendogli la battuta. Potrebbe essere un grave problema se avvenisse durante un monologo, quando si rischia davvero di passare da una parte all’altra del testo e di saltare intere pagine. Discorso diverso invece per la commedia classica in versi.

I riti scaramantici “pre-rappresentazione” più curiosi ai quali hai avuto modo di assistere?
Mi dispiace deludervi ma ormai non esistono più. Certo, rimane pessimo fare gli auguri prima di una rappresentazione.

Hai un portafortuna?
No, perché lo dimenticherei.

Quali doti minime deve possedere una persona per ambire a diventare attore?
Presenza fisica, una voce straordinaria ed una forte malleabilità per mettersi sempre in gioco. Poi ovviamente tutto può essere migliorato ed affinato tramite lo studio costante. Indispensabile però un talento naturale, la cosiddetta “stoffa”.

Come scegli i tuoi attori? Sulla base della loro esperienza o del tuo intuito? Come funziona un provino?
In generale vorrei evitare di assumermi la responsabilità di dover scegliere qualcuno. Solitamente vedo gli attori quando il cast è già stato formato. Comunque mi piace stimolare una persona per vedere quello che ne esce fuori. Devo rimanere impressionata positivamente da essa, deve sapersi mettere in gioco ed essere diretto. Ci deve essere una certa energia attorno al provinante, devo coglierla. Solo in seguito, se c’è una base positiva, si passa al pezzo da interpretare, e magari anche ad un estratto del copione.

Cosa diresti a chi desidera avvicinarsi al mondo del teatro?
Ci vuole molta perseveranza, bisogna essere molto corazzati. Purtroppo la filosofia del teatro non si poggia sulla meritocrazia. Si deve essere tenaci, curiosi della vita. E’ indispensabile leggere, approfondire, studiare sempre e non fermarsi mai.

Che ne pensi della questione economica di chi lavora in questo settore?
Quello è un grave problema. Ci vorrebbe più equilibrio, che consentirebbe più produzione e quindi una sana competizione ed un rialzo del livello qualitativo. Purtroppo questa è una grave disfunzione del nostro mercato. Bisogna riuscire a cambiare le regole.

Ogni spettatore vede solo gli attori, ma da chi è composto il “dietro le quinte”?
Tantissima, tantissima gente. Ci sono persone che lavorano mesi e mesi prima dello spettacolo. Grafica, stampa, produzione, distribuzione, scenografia, costumi, musica, fonica, luci, macchinari, ecc..

Da regista, hai una musa che ispira la realizzazione delle tue rappresentazioni?
Sì, Calliope, con le sue tavolette di cera, la penna, la sua bellissima voce.

Per quale opera hai detto a te stessa “se l’avessi scritta io…”?
Ho una grandissima stima per Ingmar Bergman, grande uomo di teatro e regista, che si è dedicato anche al cinema.

In quali delle tue opere ti identifichi maggiormente?
Sembra strano ma generalmente non mi identifico in nessuna, forse solo un minimo. Di mio c’è soprattutto la curiosità per tutto ciò che ho a fianco. Quindi nei miei testi pongo delle domande sul presente; allo spettatore trovare le risposte.

Nella boxe si appendono i guantoni, nella danza le scarpette. E nel teatro cosa si “appende”? E quando arriva il momento di farlo?
Possiamo dire la dentiera. Dovrebbe avvenire quando si hanno problemi di salute, o quando si è parecchio in là con l’età. Tanto, per lavorare, rimangono sempre cinema e televisione.

Salvo Cagnazzo