08 aprile 2008: Serata-dibattito

I poeti contemporanei: questione di tecnica, di contenuti o di fortuna

“Il poeta assomiglia al principe dei nembi
che pratica la tempesta e se la ride dell’arciere;
esiliato a terra in mezzo agli scherni,
le ali di gigante gli impediscono di camminare”

Spirito elevato in grado di librarsi al disopra di conformismi e luoghi comuni, il poeta perde grazia ed eleganza nella sua dimensione terrena, dove proprio la grandezza interiore lo rende goffo e impacciato, fragile creatura esposta all’incomprensione e allo scherno.
Ad un tempo arrogante nel suo consapevole elevarsi e inappagato dal suo necessario confrontarsi con la materialità che lo circonda, il poeta è giudice e giudicato, vittima e carnefice in un dualismo che già Baudelaire rilevava nei versi su citati, tratti da Les fleurs du mal.Un dualismo che da sempre accompagna chi alla chiarezza della prosa ha scelto l’oscuro ma affascinante lirismo dei versi, prigione metrica che rischia di cingere di sbarre troppo spesse il contenuto delle proprie riflessioni.Dualismo ancor più vero oggi, in una realtà veloce e frenetica che ha sempre meno tempo per soffermarsi a riflettere sul significato di liriche spesso troppo oscure.Qual è dunque il destino del poeta? Adeguarsi o adeguare il mondo che lo circonda alle proprie esigenze? Chiudersi sempre più in una consolatoria gabbia dorata o trovare la giusta chiave per interpretare un mondo di cui, volente o nolente fa parte?In discussione in realtà non è solo la figura del poeta in sé, ben poca cosa rispetto all’arte stessa di cui si fa umile rappresentante, la poesia tutta che rischia di essere sempre più inadeguata di fronte alla realtà che vuole esprimere. Discussione che si è tenuta martedì 8 aprile presso il locale La Sol Fa, per l’occasione improvvisato cenacolo per la serata organizzata dal Circolo letterario Bel-Ami intorno al tema della poetica contemporanea.

Ad aprire la discussione Slawka Scarso e Ludovica Colussi, che da subito pongono l’accento sull’aspetto più pratico: cosa porta un aspirante poeta alla pubblicazione, quale strada deve essere battuta perché versi disorganizzati prendano l’ambita forma di un’antologia che possa trovare il proprio spazio sugli scaffali di una libreria?
La risposta non è di quelle che lasciano intravedere la luce alla fine del tunnel; oggi come oggi, infatti, le librerie si fanno meno ospitali verso i testi poetici, che sempre più raminghi spuntano qua e là su scaffali via via più corti, scaffali ben più felici di sorreggere il peso importante di noti best seller rampolli del più acclamato filone della narrativa.
Un filone che trova un’adeguata visibilità nelle librerie che ne ospitano i titoli più importanti in grosse quantità, su spazi appositamente allestiti.
Spazi che da tempo hanno esiliato la poesia, relegata all’interno di nicchie dove solo pochi palati vanno a saziarsi.
Un’esclusione dove lo spazio fisico rischia di diventare spazio sociale e culturale, in una pericolosa logica dell’emarginazione di un genere che in un passato neanche troppo lontano ha avuto per figli nomi illustri della letteratura.
E nella logica della mercificazione, dove anche il libro persa la sua innocenza di veicolo di cultura altro non è che un prodotto, la mancanza di visibilità determina l’allontanamento dal destinatario del prodotto stesso, l’acquirente, con un conseguente abbassamento di vendita e quindi di richiesta, in un inarrestabile circolo vizioso che lascia la poesia al di fuori del suo movimento.
E a farne le spese sono maggiormente gli autori contemporanei: tra i pochi libri di poesia da esporre la preferenza andrà, infatti, sempre ai classici, nomi importanti di più sicura presa che non a sconosciuti emergenti che rischierebbero di diventare scomodi inquilini di lunga degenza su scaffali troppo stretti per accogliere il superfluo.E così gli aspiranti poeti possono trovare magra consolazione nella scelta di case editrici come l’Einaudi o la Guanda o altre che volendo mantenere comunque un catalogo ricco decidono di pubblicarli. Ma come si è arrivati a questo? La discussione diventa un acceso dibattito che si muove sul delicato e controverso problema delle responsabilità che sono alle spalle di questo processo.
Responsabilità che non risparmiano la vittima per eccellenza, il poeta, colpevole spesso di una lirica troppo oscura che allontana invece che avvicinare; un poeta che sembra parlare solo a se stesso, o peggio, per se stesso perché possa essere ascoltato dai più.
In questo la critica mossa provocatoriamente verso chi pubblicherebbe più per narcisismo che per comunicare realmente qualcosa. Pietro Mattoni e Sandro Disegni, toccati in prima persona dalla critica mossa in quanto poeti, difendono la libertà totale della poesia da ogni condizionamento di forma o contenuto; espressione lirica di un percorso di riflessione interiore, eco di una profondità che non può essere sacrificata all’altare del conformismo, la poetica mal si presta al compromesso in nome di una logica di mercificazione che non le appartiene.
E proprio qui forse è la sua forza ma anche il suo limite: la capacità di saper esprimere con forza moti interiori e riflessioni profonde ma l’incapacità di poter raggiungere, proprio in quanto frutto di un cammino personale e soggettivo, la massa, l’altro che di quel cammino non è parte.
Se a questo si aggiunge il ricorso ad un simbolismo astratto spesso chiaro solo alle orecchie dell’autore che lo ha elaborato, il cerchio si chiude.
Un simbolismo volutamente ricercato e oscuro che nelle sue punte estreme può trasformare il canto del poeta nel delirio di un folle.Il dibattito alla fine non torva una risposta concreta, che francamente sembra non esserci: la verità sta nel mezzo e come al solito la torta delle responsabilità va equamente divisa anche se in fette forse diverse.

La poesia non si presta in quanto tale ad accomodamenti o restrizioni, ma proprio per questo è destinata a rimanere un genere per pochi, cosa che del resto avviene anche per altri generi come la pittura o certa musica, figli di una creatività difficilmente imbrigliabile e massificabile. Alla fine rimane il tempo per decantare versi di autori contemporanei quali Attilio Bertolucci, classe 1911 e padre del più noto regista, di Maurizio Cucchi, Franco Marcovaldi autore di una simpatica lirica sui problemi che gli crea l’affollamento del suo soggiorno, fulgido esempio di una poesia che nasce dalla quotidianità; e ancora Alda Merini, Fanio, De Marco e lo spassoso Benni, Dario Durante e Bruno Dezzi che con i suoi “Strapianti d’organi” strappa un sorriso agli astanti.
I versi degli autori rivivono abilmente decantati da Slawka, Ludovica, Pietro e Sandro e proprio questo momento ci dona quello che forse è il fascino più profondo di quest’arte: l’aggregazione intorno all’interpretazione che sola riesce a restituire a parole e simboli la musicalità che gli è propria.

Emanuele Liani

Post Tagged with ,